Se ci chiamate schiavi!
Affrontare la schiavitù nel 2019 è un fatto terribile; non è che non lo sapessimo, sia chiaro, ma vedere che 43 persone a pochi metri da casa nostra sono state costrette a lavorare senza tutele e senza diritti è davvero impressionante. 43 lavoratori senza aria, senza acqua, senza servizi igienici, per ore costretti in pochi metri quadri a lavorare le pelli per le borse delle signore che sfoggiano griffe poco lontano.
Ma ci siamo capiti? Stiamo parlando del 2019, un Comune a pochi metri dalla periferia nord di Napoli, 43 fantasmi, un imprenditore arrestato (ci mancava) e tanto sdegno che domani sarà solo interviste e post dimenticati.
Bene, questa è l’epoca dello sdegno breve, quello senza visione, quello sdegno che dura massimo 48 ore e poi si passa al prossimo dramma. Drammi consumati sul filo dei post, delle poche righe possibili di un cinguettio e di qualche foto a effetto. E se a 43 lavoratori non dedichiamo qualcosa in più dei post e degli articoli di stampa, significa non solo che non rispettiamo loro, ma che non abbiamo un pensiero delle mille mila persone che si trovano nella stessa situazione e che, per casi voluti dal destino, non sono stati – ancora – individuati.
Ma ci sono, esistono e noi amministratori abbiamo almeno un peso: quello di dare visione allo sdegno, quello di trasformare in strategia le diverse proposte che ogniqualvolta abbiamo un problema emergono e poi non diventano atti.
A quei 43 fantasmi va il mio impegno personale, da Assessore al Lavoro del Comune di Napoli, da Responsabile Nazionale Dipartimento Lavoro demA e componente del Tavolo nazionale di contrasto al caporalato per Anci, verso la massima contrazione del lavoro nero, verso la riduzione dei fenomeni di caporalato e verso l’attuazione della Costituzione che a quanto sembra rispetto a questi temi è ancora piuttosto lontana, verso l’estensione al Terziario della legge sul caporalato, verso un serio ripensare alla filiera delle produzioni di moda e alta moda.
Ma ci dobbiamo essere tutti, sempre. Deve essere un intervento costante di rete vera, di controlli, di azioni sanzionatorie e di messa a regime di proposte legiferative. Deve essere qualcosa che diventa nostra, una visione del diritto al lavoro come diritto ad essere parte della comunità, come diritto di appartenenza e dovere di osservanza delle regole.
La nostra provocazione, che deriva direttamente da una visione complessiva orientata alla Costituzione, è questa: posto che l’imprenditore deve pagare come la giustizia intende, alle imprese che nel territorio lavorano produzioni simili (ci auguriamo con migliori condizioni per le persone) “offriamo” i 43 lavoratori, ciascuno con il proprio incentivo, chi con il bonus Sud, chi con l’incentivo previsto dal reddito di cittadinanza, chi con il bonus Giovani, chi con altro.
Perché l’appello va alle imprese, a chi gioca sulla pelle dei lavoratori pur avendo un set di strumenti cui attingere. E se non trovano la misura giusta, certo la soluzione non è tenere le persone in schiavitù. Napoli c’è, siamo pronti a fare la nostra parte come sempre, non molliamo la presa perché pensiamo che gli schiavi debbano restare come simbolo dell’orrore nella nostra memoria e non essere oggetto di neorealistiche reazioni che durano un giorno.
Monica Buonanno – Responsabile Nazionale Dipartimento Lavoro