La Cultura non esiste più ….
Facciamo, in questi giorni, un gran parlare delle «grandi manovre» di questo governo per i temi, non argomentati, e tra i più disparati. Flat tax, reddito di cittadinanza, acquisti responsabili, centri per l’impiego, spesa per gli investimenti, spread e chi ne ha voglia, può allenarsi nelle proposte più diverse, tanto non costa nulla, è tutta una «chiacchiera in deficit».
La cosa che più stupisce, è che nessuna voce o parola o riflessione è stata prodotta su un tema, la cultura, e sembrerebbe che nessuno se ne sia accorto né stupito. Non per una mera dimenticanza o per la priorità degli affari più urgenti, ma proprio perché la parola cultura è sparita dal vocabolario dei nostri governanti.
Non si tratta di stare da una parte o dall’altra, ma nel tentare di capire in quale momento storico viviamo.
Sembrerebbe che questi anni in cui ci hanno ripetuto che si può vivere senza cultura, che la stessa non esiste più come categoria tematica e che comunque positiva o no con essa «non si mangia», ci abbiano convinto a crederlo un po’ e forse anche a causa di quella visione elitaria della cultura che agli intellettuali è piaciuto trasmettere negli anni. È proprio per questo che oggi, addirittura non ne parlano neanche più (tranne un paragrafo di maniera a pagina 108 del DEF) . Sì avete capito bene e ora ci avete fatto anche caso … la Cultura non esiste più.
È per questo che in una manovra da 35-40 miliardi nulla viene stanziato e neanche promesso per la proposizione di misure concrete a sostegno dello sviluppo della vecchia e inutile cultura. La stessa che non era tra le proposte elettorali, né presente nel contratto di governo, né in un bel proprio niente.
Inquadrati e in fila come gli elementi musicali degli Alan Parsons Project, quei cittadini che si sono già militarizzati, seguono, gli uni dietro gli altri, le note politico-musicali di un tweet. Sono costretti a spingere la ruota camminando in tondo per sempre, addomesticati e addormentati dalla nuova propaganda.
La politica degli ultimi anni, poiché non si può accusare solo quest’ultimo governo, ha fatto leva su un pubblico di persone che non credono allo studio e all’analisi come armi per la risoluzione dei problemi, su una massa che aspetta che qualcuno gli imbocchi la soluzione, e in un momento difficile, invece di ispirarsi ai premi Nobel o ai filosofi come avrebbe fatto Roosevelt negli anni della Grande depressione, ci si appella al carisma di persone in fin dei conti totalmente impreparate. E se oggi la parola cultura è sparita dai temi di questo genere di politici, è perché non solo fa comodo a loro, ma perché siamo diventati noi stessi a lottare contro l’unica vera meritocrazia inventata dagli uomini, la cultura.
Ma non sono l’unico a essersi accorto di questo silenzio primitivo e da questa pagina lanciamo l’appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà affinché facciano gruppo, perché partecipino alla ristrutturazione dell’immagine della cultura e fare in modo che non scompaia anche dal dizionario.
Chi lavora ogni giorno e combatte i problemi quotidiani con lo studio e l’analisi, sa che la cultura è questo: capacità di uscire da ogni impasse. Per questo è fondamentale che si investa in essa, per risolvere i problemi e migliorarsi, che siano i problemi della comunicazione, o quelli economici, senza approfondimento non si esce. E se la cultura scientifica è necessaria per il progresso, quella umanistica diventa la leva che avvia questa consapevolezza, allo studio come capacità di risoluzione delle cose.
È sbagliato credere che il lavoro culturale sia qualcosa che può crescere nel tempo libero, mentre si fanno quei lavori «più pratici», perché fare cultura richiede tempo, come fare ricerca e sono i motori per il nostro futuro.
Lo Stato deve avere il ruolo di garante di questa consapevolezza, non d’altro, poiché lo stato non può fare arte o valutare l’arte, lo Stato è burocrazia e tale deve rimanere ma suo è il compito di garantire un terreno fertile per una cultura autonoma.
Così come dovrebbe garantire gli scambi economici tra le persone, vorrei che garantisse anche gli scambi umani.
Alessandro Polidoro – Responsabile Nazionale Dipartimento Cultura