La notte della Repubblica
Ognuno ha la sua storia. Alle nostre coscienze di uomini del terzo millennio, di un uomo come Bruto, ormai lontanissimo da noi, parla soprattutto il momento chiave della sua vicenda personale. Una vicenda, che, tuttavia, riguarda l’intera umanità: il colpo delle Idi di marzo del 44 A.C., vibrato in Senato a Cesare, l’amato padre adottivo e l’odiato dittatore. Un evento così emblematico e per molti versi così attuale, che oggi, rivolgendosi a chi ha tradito la fiducia accordata, c’è chi con amaro stupore ricorda quel colpo e punta il dito – «Tu quoque Brute, fili mi» – e chi lo cita invece come una testimonianza estrema di fede repubblicana. Basta poco a capirlo: sono i fatti compiuti a dire di noi chi siamo e in che tempo viviamo.
In questo senso, eloquente, per molti versi angosciante ma rivelatore è quanto ci racconta il caso recente di Pasquale Ciccolo, Procuratore Generale della Cassazione, che Renzi ha incluso in un suo decreto per supertoghe, tenendolo in servizio nonostante i raggiunti limiti di età. Un caso in cui per una volta ancora fedeltà e libertà si ritrovano assieme in un contrasto sordo ma rivelatore. Per capire com’è che a Ciccolo è toccato un privilegio ad altri negato, occorre esaminare la sua storia. E’ lì che si può trovare la chiave di lettura di ciò che è accaduto. I fatti, però, sono per loro natura muti e occorrono domande. Proviamo a interrogarli allora e vediamo che risposte ci danno.
Se nel 2007 Ciccolo non avesse scelto di colpire l’allora Pubblico Ministero Luigi De Magistris, impegnato in alcune inchieste che erano diventate fumo negli occhi per l’allora ministro Mastella e coinvolgevano il Presidente del Consiglio, Romano Prodi, Renzi, si sarebbe mai occupato di lui? Non l’avrebbe mai fatto e non si dica che Renzi non c’entrava nulla. Ci è entrato Napolitano, che di Renzi è stato a lungo il padre padrino e padrone. Quale peso hanno avuto, poi, sulla scelta di inserire Ciccolo nella pattuglia privilegiata dei “prorogati” i crediti acquisiti con il tentativo di interferire nella vicenda Mancino, nel 2012? Non fu allora che Napolitano divenne il protagonista negativo della scottante indagine sui rapporti tra Stato e Mafia e Ciccolo provò a far cambiare indirizzo al titolare dell’inchiesta? La buona sorte del Procuratore Generale, infine, dimostra che la politica può scegliersi ormai impunemente i suoi giudici?
Fino a poco tempo fa, queste angoscianti domande non avrebbero avuto risposte certe, poi il sospetto è diventato purtroppo un amaro dato di fatto. C’è voluto il caso Woodcock e per capirlo bene basta seguire nell’ordine la successione degli eventi. Come un fulmine a ciel sereno, tempo fa Woodcock scoperchia un pentolone puzzolente dal quale salta fuori il padre di Renzi. E’ il primo atto di una rappresentazione sempre più comune nella vita del Paese. Solo due giorni fa, per l’ennesima questione di banche, è toccato alla Boschi balzare in cima alla classifica degli scandali politici. E’ stato il sempre misurato e prudente Ferruccio De Bortoli a chiamarla in causa per un ripugnante intreccio tra ruolo pubblico e interesse privato. In quanto a Woodcock la sua inchiesta ha visto naturalmente Matteo Renzi nella bufera, alle prese con l’ennesimo scandalo e con il rischio concreto di esserne travolto. A questo punto della vicenda, guarda caso, è entrato nuovamente in scena il Procuratore Ciccolo, che, recitando la parte di un copione ormai imparata a memoria, non ci ha pensato due volte e ha messo sotto accusa il Pubblico Ministero Woodcock, per un’intervista mai concessa che – incredibile a dirsi – avrebbe turbato l’andamento delle indagini sulla fosca vicenda dei due Renzi.
Piaccia o no, il pugnale di Bruto ebbe a sua nobile discolpa un senso di lealtà verso i valori della Repubblica e un così forte bisogno di libertà, che alle coscienze libere in ogni epoca della storia egli propose il tema angosciante e irrisolto del tirannicidio. In questa sorta di autunno della storia che ci tocca vivere, però, non solo è diventato impossibile tenere assieme Popolo e Senato, governo e governati, legalità e giustizia, ma Bruto si è fatto tiranno e liberticida è il suo colpo di pugnale. Un colpo che va nella direzione uguale e contraria a quello degli antichi congiurati. E’ paradossale ma vero: si tratta ancora e sempre di libertà, ma mentre Bruto e Cassio intesero difenderla, oggi la si vuole ammazzare. Nella notte della repubblica in cui da tempo viviamo, la fedeltà al potere che ti ripaga conta ormai molto più della lealtà verso le Istituzioni. Dove non passarono il principe Borghese, il generale De Lorenzo, le bombe e le stragi, passano senza colpo ferire l’opportunismo e una inarrestabile crisi di valori. Accade così quando un Paese non forma coscienze critiche, ma riduce la scuola a una fabbrica du bestiame votante.
In fondo, il Procuratore Ciccolo è il miglior Bruto possibile in un tempo come il nostro.
Giuseppe Aragno – Coordinamento demA